Solo misurando le emissioni di gas serra lungo tutta la filiera produttiva, ma anche la quantità di anidride carbonica “sequestrata” dal terreno, il settore vitivinicolo può rafforzare con azioni concrete un’idea più credibile di sostenibilità
Cosa può definirsi eticamente corretto quando si fa impresa? Rispondere a questa domanda non è tanto un desiderio individuale dell’imprenditore, quanto un dictat della società moderna, sempre più sensibile alle tematiche di sostenibilità e attenta all’equilibrio tra gli aspetti prettamente economici e i valori sociali e ambientali. E sebbene il primo input venga dato dal consumatore consapevole, che esprimendo nuove esigenze costringe il mercato a piegarsi ai suoi bisogni, l’imprenditore può scegliere “spontaneamente” di prendere in considerazione – nel disegno della strategia aziendale – gli impatti del proprio operato. Perché un business non può pensare di suscitare interesse nella comunità solo perché genera occupazione come effetto collaterale del suo profitto. E oggi non è neppure sufficiente, almeno per il consumatore “intelligente”, il rispetto delle normative previste da organismi sovrastanti. La classe imprenditoriale è chiamata ad andare oltre. E questo non significa sacrificare la sostenibilità economica in favore di cause più “nobili”, ma limitare quel gap storico tra dimensione finanziaria e socio-ambientale, sfruttando potenzialità che portino beneficio all’intero ecosistema. In questo contesto, le aziende vitivinicole più illuminate stanno trasformando una rivendicazione di diritti in opportunità, incrementando così la competitività di un settore che ancora oggi vede l’Italia tra i protagonisti assoluti del mercato globale.
Franciacorta è stata la prima zona viticola italiana a dotarsi di un metodo di autocontrollo per monitorare la sua impronta ecologica, ben consapevole di come l’intera catena produttiva contribuisca a emettere gas serra nell’aria, sia con le lavorazioni in vigneto, sia con l’attività di cantina e tutte le pratiche a essa collegate. Tuttavia, non è il settore agricolo quello più impattante, dal momento che detiene un importante vantaggio: le piante sequestrano anidride carbonica nel loro accrescimento e quindi il terreno si comporta come un grande serbatoio che intrappola diossido di carbonio, riducendo così il surriscaldamento globale. E l’incremento della quantità sequestrata passa inevitabilmente attraverso la viticoltura sostenibile.
La Docg bresciana ha risposto all’appello a cui tutti gli operatori del settore sono chiamati, non solo per dare un futuro alle loro attività, ma anche per mitigare quei cambiamenti climatici che incideranno sempre più sulla società complessiva, producendo effetti negativi per qualsiasi pratica lavorativa. E dal momento che la consapevolezza non è sufficiente, sia per l’ambiente che per l’opinione pubblica, ha deciso di basare le proprie valutazioni su misure oggettive. Lo strumento che si fa garante di questo impegno è il “carbon footprint”, ovvero il dato di emissione totale della catena produttiva, espresso in unità equivalenti di anidride carbonica. L’obiettivo principale di questo metodo è far comprendere a ciascuna azienda quali siano le fasi più impattanti del processo di produzione, così da pianificare strategie utili a migliorare la propria attività, ma anche incrementare il livello di credibilità davanti a un consumatore internazionale sempre più esigente.
L’Italian Wine Carbon Calculator – più semplicemente Ita.Ca® – nasce nel 2009 da un confronto tra lo Studio Agronomico Sata e la Winemakers’ Federation of Australia, che hanno collaborato per adattare l’International Wine Carbon Calculator (già riconosciuto a livello mondiale) alla realtà produttiva italiana, con la supervisione scientifica dell’Università degli Studi di Milano. Il calcolatore italiano si basa sul metodo del carbon footprint e scompone la filiera in tre “ambiti” distinti: l’impronta primaria è una misura diretta delle emissioni di CO2 da combustibili fossili, tra cui il consumo interno di energia per il trasporto o per i lavori aziendali; l’impronta secondaria è una misura delle emissioni indirette causate da energia acquistata da fornitori esterni (ne sono un esempio i gas serra prodotti per far funzionare impianti di riscaldamento o refrigerazione). Infine, l’impronta terziaria include le voci di emissione determinate da tutto il ciclo di vita dei prodotti e materiali che si acquistano e si utilizzano durante il ciclo produttivo.
Le aziende che scelgono di misurarsi in questi termini sono chiamate a inserire in un software i dati riguardanti la realtà d’impresa, dal numero di vetture utilizzate, al carburante consumato, fino ai prodotti utilizzati contro le malattie e i dettagli sulla gestione delle risorse idriche e dei rifiuti. L’elaborazione di questi dati consente di ottenere il valore di emissione ripartito per le singole voci e per il singolo ambito. La novità di Ita.Ca® rispetto agli altri calcolatori internazionali sta nello stimare anche i sequestri di anidride carbonica in vigneto, così da offrire alle aziende un vero e proprio bilancio, che incentiva un miglioramento continuo delle prestazioni, riducendo sprechi ed eccessi.
Il primo ambito è quello con più margini di miglioramento, poiché la gestione del suolo vitato può indubbiamente beneficiare degli sviluppi in campo scientifico, così da ridurre quei trattamenti chimici poco controllati che conducono all’impoverimento dell’ecosistema vigneto. E qui i Consorzi di Tutela hanno la responsabilità di favorire la diffusione di tecniche innovative o semplici consigli ai viticoltori. Ne è un esempio il regolamento unitario per l’uso sostenibile degli agrofarmaci con cui i viticoltori della Franciacorta si sono imposti regole più restrittive di quelle dettate dalle normative vigenti, escludendo alcune tipologie di prodotti fitosanitari (legalmente ammessi) e imponendo controlli più stringenti sulla qualità delle distribuzioni.
Il secondo ambito, per essere migliorato, richiede un investimento iniziale non indifferente: l’adozione di fonti rinnovabili di energia, per quanto strategicamente corretta, è onerosa e richiede tempi di applicazione e ammortamento piuttosto lunghi. Nonostante ciò, il numero di aziende che sceglie di installare pannelli solari è in continua crescita, perché sebbene dotarsi di tecnologie a basso consumo sia più accessibile e di ritorno immediato, non è questa la soluzione più efficiente e benefica sul lungo periodo.
Le emissioni maggiori derivano però dall’ambito terziario, di cui il mondo del packaging rappresenta il principale punto debole a causa dell’incidenza provocata dalla produzione delle bottiglie di vetro. Nonostante si tratti del processo più impattante sul profilo ambientale, è anche quello per cui l’azienda è solo indirettamente responsabile. Un investimento strategico finalizzato alla ricerca di nuovi metodi di packaging potrebbe garantire risultati a lungo raggio, ma a costi piuttosto elevati. E la soluzione non è affatto banale se si tratta di trovare contenitori adatti ai vini che presentano una notevole pressione all’interno della bottiglia. L’alternativa più realistica è quella di abbattere l’impatto ambientale legato alla produzione del vetro valorizzando progetti di riciclo in condivisione con gli altri attori della filiera, e promuovendo la riduzione del peso delle bottiglie.
Il calcolatore Ita.Ca®, conforme anche al protocollo dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (GHGAP di OIV), contribuisce a rafforzare l’idea di una sostenibilità misurabile e quindi più affidabile. Nella speranza che un giorno il settore vitivinicolo possa affermare con fierezza di aver contribuito a rallentare il riscaldamento terrestre, diventando un esempio virtuoso per l’intero sistema economico.