La caramella della discordia. Il condimento bipartisan media la disputa tra casoncelli

7 Dicembre 2023

Alla bergamasca, alla bresciana o alla camuna? Una sfida che si gioca a suon di sfoglie e ripieni… ma fra i tre litiganti, sempre di burro si gode

di Natale – prendiamo coscienza del significato culturale del cibo, veicolo insuperabile delle tradizioni e delle emozioni dei popoli. E le paste ripiene del Nord Italia non fanno eccezione, una tra tutte i casoncelli. Numerose località tra Bergamo e Brescia ne contendono con orgoglio le origini, e le ricette – insieme ai nomi – cambiano anche profondamente a distanza di pochi chilometri. Ricostruire la storia e l’evoluzione di queste caramelle, che talvolta si trasformano in mezzelune, fazzoletti o addirittura “neonati in fasce”, è un’impresa alquanto ardua, in parte ostacolata dal campanilismo di molti scrittori e fieri cittadini che nei secoli si sono impegnati a celebrare le loro versioni del cuore, a discapito della ricerca storica e filologica.

La presenza di una pasta che avvolge un ripieno lascia inconfutabili testimonianze scritte sin dal XIII secolo, ed è una consuetudine cara tanto ai nobili quanto ai meno abbienti, nascendo in fin dei conti dal medesimo obiettivo: utilizzare e valorizzare gli avanzi dei pasti precedenti, mescolandoli con verdure, pane e formaggi. E così degli scarti saporiti diventano il ripieno di amatissimi “piatti da festa”, che assumono i nomi più svariati in virtù della loro forma o degli ingredienti in essi contenuti.

Secondo le tesi più conclamate, il “casoncello” prenderebbe il suo nome dal cacio (caseus) in esso contenuto, anche se tra tutti gli ingredienti è forse quello che li caratterizza meno, almeno nelle versioni odierne. E questo lascia adito all’ipotesi secondo la quale i casoncelli più autentici siano “magri”, riempiti principalmente con pane e formaggio. Altri autori sostengono una motivazione legata alla forma di questo raviolo, anticamente arrotolato e piegato a ferro di cavallo, a mo’ di calzoncino primitivo.

Ma non è la genesi dell’appellativo a scatenare le (scherzose) lotte tra bresciani e bergamaschi, quanto la radice primaria della ricetta, insieme alla legittimità della stessa. Il disciplinare di produzione dei “casonsèi de la bergamasca” mette a tacere le guerre intestine a una delle due province coinvolte nella disputa: farina di grano tenero di tipo 00, semola di grano duro e uova intere per la pasta; nel ripieno troviamo in quantità decrescenti macinato per il salame, pane grattugiato, pere scottate (spadona d’estate o abate d’inverno), carne bovina arrostita, Grana Padano, uova, uva sultanina, amaretti e spezie (pepe, noce moscata e cannella), scorza di limone, aglio, prezzemolo e sale. La sfoglia deve essere ridotta in dischi di diametro oscillante dai 6 agli 8 centimetri, al centro dei quali viene collocata la farcitura. Dopo aver ripiegato il disco per ottenere la tipica mezzaluna, questa viene leggermente schiacciata effettuando una pressatura al centro del diametro, così da riprodurre la famosa caramella.

Il seducente gusto agrodolce di ispirazione medievale rievoca l’avvenimento che i bergamaschi associano al compleanno di questa celebre pasta ripiena: il 13 maggio 1386 oltre duemila cittadini accolsero i soldati del nuovo signore della città – Gian Galeazzo Visconti – «danzando trepidanti e offrendo a tutti pasticci salati e artibotuli detti anche “casoncelli”».

Decisamente più delicato, tanto nella pasta quanto nel ripieno, è il casoncello bresciano. La farcia a base di pane secco, burro e grana padano (o Bagòss) viene esaltata da una sfoglia sottilissima, ma non mancano versioni più ricche. Nella Bassa Bresciana si aggiungono le erbette in quel di Longhena, mentre a Barbariga compare anche il prosciutto cotto, insieme al brodo di carne e alla noce moscata, e la forma comunemente accettata è rettangolare o triangolare. A Castelcovati, per la festa di sant’Antonio, i canünsèi diventano mezzelune ripiene di pane, formaggio, burro, prezzemolo, brodo di carne e tante spezie. Il semicerchio domina anche le tavole di Pontoglio, dove troviamo addirittura la carne di manzo e di maiale, con un’abbondante dose di cipolle.

La Valcamonica racconta una storia a sé, molto più rustica e dal sapore montano: nei caicc di Breno la farina di grano saraceno spezza quella di frumento, mentre il ripieno accoglie vitello, maiale, salame e mortadella, con uva sultanina, amaretti e gherigli di noce a conferire una nota agrodolce che strizza l’occhio al casoncello bergamasco; i calsù dell’Alta Valcamonica aggiungono sostanza con le patate. Menzione speciale meritano i Pi Fasacc che le donne di Artogne preparano in occasione della festa patronale dedicata alla Madonna della Neve: il loro particolare aspetto deriva dall’antica usanza di avvolgere i neonati in fasce e ricorda molto quello dei culurgiones sardi; il ripieno rimane invece fedele alla tradizione bresciana, annoverando solo pane, burro e formaggio, insaporiti con varie spezie.

L’unica cosa su cui sono tutti d’accordo è il condimento, da versare direttamente sulla pasta: abbondante burro sfrigolante, salvia e Grana Padano grattugiato. A Bergamo si aggiunge la pancetta croccante, ma Brescia non se ne lamenta.

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